In particolare, il 30,5 per cento delle aziende dichiara di utilizzare stampa 3D o robotica. Il 34,9 per cento usa tecnologie meno evolute: laser o “macchine a controllo numerico” (lavorano in base a un programma automatico, senza intervento umano). Solo il 18,6 per cento delle aziende non utilizza nessuna di queste quattro, ma le novità più promettenti sono le prime due.
È il 25 per cento delle aziende a usare la stampa 3D. Lo fanno soprattutto nel settore dei gioielli, metalli preziosi e in quello dentale (42,6 per cento). A seguire, le aziende che fanno macchine e mezzi di trasporto (32,4 per cento), gomma e plastica (26,9 per cento), legno e mobilio (23,5 per cento) e metallurgia (22,1 per cento). In coda la moda (10,6 per cento).Il made in Italy usa la stampa 3D soprattutto per creare prototipi dei prodotti. Le piccole e medie imprese possono così ridurne i tempi di realizzazione, coinvolgere i clienti nella progettazione o fare modelli personalizzati per il singolo acquirente. Un altro utilizzo interessante — dichiarano le aziende italiane — è la possibilità di fare oggetti con forme e geometrie prima impossibili.
Tuttavia, il made in Italy non ha ancora imparato a sfruttare al meglio le potenzialità delle nuove tecnologie.
Solo il 30 per cento delle aziende che usano la stampa 3D dichiara di averne avuto un “impatto significativo”. Un altro grosso potenziale ancora da sfruttare viene dal fenomeno dei Fab Lab, laboratori dove si sperimentano differenti usi della stampa
3D: ormai un centinaio. La loro crescita, si legge nel rapporto, “è riconducibile in parte all’esplosione del fenomeno maker, in parte alle politiche pubbliche di sostegno (come in Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia)”.